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Analcolismi lessicali: vocabolario a bassa gradazione per sobri praticanti

Aggiornamento: 6 apr

Vademecum informale sulle parole da conoscere per conversare senza intoppi con chi ha abbandonato l’alcol




Tendenza che vai parole che trovi, direbbe il saggio. E in effetti, per misurare il grado di incidenza di un fenomeno nel percepito comune, spesso è sufficiente soffermarsi sui vocaboli che più lo identificano, che si tratti di neologismi oppure di termini diventati nel tempo di uso comune. 

Quel che è certo è che, in barba a malumori e tentativi di boicottaggio da parte degli amanti delle alte gradazioni, il settore delle bevande no/low alcol negli ultimi anni ha fatto un deciso salto in avanti (entro il 2028 il settore potrebbe raggiungere i 4 miliardi di dollari), portando con sé lo strascico di una vera e propria terminologia che oggi si fa largo non solo tra gli addetti ai lavori. Qui sintetizziamo in ordine sparso le parole di base che ognuno dovrebbe conoscere per evitare momenti di empasse davanti al bancone. E non solo. 


Dealcolazione: non siamo tornati (o non ancora) all’epoca del Proibizionismo, per cui diciamo intanto che questa è una pratica consentita per legge (dal 2021). La dealcolazione è un processo attraverso il quale si parte da un vino “standard” per sottrargli etanolo, abbassandone così il tenore alcolico. 


Dealcolizzato/parzialmente dealcolizzato: disambiguazione necessaria, considerando che tra le due definizioni corre una linea (non troppo) sottile. Vini e spirits “dealcolati” (o meglio, dealcolizzati), hanno un tasso di alcol non superiore a 0,5% vol., mentre in quelli “parzialmente dealcolizzati” la percentuale alcolica è compresa tra lo 0.5% e il 9%. 


Dry January: tutti lo abbiamo sentito nominare anche solo di sfuggita dopo aver raccolto le ultime briciole di panettone. Da qualche anno, infatti, esiste una campagna internazionale che invita a rinunciare all’alcol per tutto il mese di gennaio. Un modo per compensare gli eccessi delle feste (e salvare il fegato dal tracollo).  


Ebbrezza analcolica: sembra una contraddizione, ma semplicemente indica il trend che vede sempre più persone scegliere convintamente di vivere all’insegna della sobrietà, ponendo sempre più attenzione al proprio benessere e alla propria salute. 


Sober curious: fatto il trend, ecco i trendsetter. Si tratta di una tipologia di consumatori, per lo più Millennials e appartenenti alla Genz, che hanno cambiato approccio rispetto al consumo di alcol in situazioni di socialità. Potremmo definirli dei “sobri professanti”, perfettamente in linea con i principi del Sober Curiosity Movement, un fenomeno diffuso oltreoceano che incita giovani e giovanissimi ad avere la sobrietà come paradigma di vita. 


Fermentati: come spiega già il nome, c’è la fermentazione alla base di queste bevande senza o con poco alcol di cui fanno parte il kefir, la kombucha, il sidro di mele e pere, l’idromele, il pulque, lo jun e la chicha, per citarne soltanto alcune. Di fatto, anche vino, birra e sakè fanno parte di questa categoria di bevande, ma lo spieghiamo nel capitolo 2.


Proxies: nulla per cui serva una laurea in ingegneria informatica, ma bevande fermentate analcoliche a base botanica realizzate con miscele di tè, frutta o spezie che imitano la texture e gli aromi del vino. Il risultato è parecchio diverso, ma comunque passabile per consistenza, acidità e resa tannica. I paesi nordici le stanno già introducendo nei ristoranti come alternativa al vino. Da tenere sott’occhio. 


Hard seltzer: in Italia sono arrivati nel 2021, ma negli Stati Uniti erano già allora un fenomeno riconosciuto. Gli hard seltzer sono bibite dal contenuto alcolico limitato (entro il 5%) che rientrano nella categoria ‘birre’ perché risultato di una fermentazione, ma a differenza della birra possono contenere altri zuccheri oltre al malto d’orzo.


NoLo: si sa, l’uomo tende ad essere pragmatico. Ne è l’esempio questo termine che non è altro che l’acronimo di “no-low”, riferito ovviamente a uno sconfinato universo di cocktail e bevande senza o con poco alcol. Sapevatelo. 


Mocktail: questo termine nasce dall’unione di “mock” (finto) e “tail” e rappresenta tutti quei drink senza alcol che ormai da qualche tempo solleticano la creatività dei bartender. Scordatevi però i frullatoni con l’ombrellino che spopolavano negli anni Novanta. Qui si va di artiglieria pesante, con bevande sofisticate che il più delle volte sono frutto di ricerche e sperimentazioni. 


Temperance bar: sono in realtà più diffusi di quanto si pensi e rappresentano quei locali che per disciplinare non servono alcolici. Se ne trovano un po’ in tutto il mondo e, per quanto sembrino una trovata recente, in realtà ce ne sono tracce già a fine Ottocento, quando a Manchester aprì il Fitzpatrick Temperance Bar. 


#soberparty: uno dei passatempi preferiti dalla GenZ, la più sobria della storia, che sempre più spesso partecipa a feste ed eventi sociali che non prevedono la presenza di alcol. Poi posta tutto sui social, al grido di “ci si può divertire anche senza bere”.


0.0: lo avrete letto sull’etichetta di qualche bottiglia, sbirciando tra gli scaffali del supermercato. Se lo zero è un numero che indica l'assenza di quantità - deriva dall'arabo "sifr" che significa "vuoto"- ragionandoci su è facile comprendere che dentro a quei contenitori l’alcol non si troverebbe neanche con la lente d’ingrandimento. 


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